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Capobianco: “Via della Seta un’opportunità, abbandonare gli individualismi”

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Intervista della giornalista Serena Costa al presidente di Conflavoro Pmi Roberto Capobianco per il Nuovo quotidiano di Puglia

“La Via della Seta è più vicina per le imprese italiane, ma dobbiamo fare rete, abbandonare gli individualismi e riconoscerci tutti nel’unica casacca del made in Italy”. Il mondo ha fame del made in Italy e, a quanto pare, la più affamata è proprio la Cina per Roberto Capobianco, presidente di Conflavoro Pmi, che per tutta la giornata di oggi (10 maggio, ndr) prenderà parte al’evento organizzato a Lecce dall’associazione nazionale degli imprenditori. Il capoluogo salentino costituisce l’unica tappa del Sud Italia, insieme a quelle di Cagliari, Firenze, Verona e Torino, e proprio da qui sarà lanciata l’iniziativa con cui Conflavoro Pmi intende internazionalizzare il prodotto italiano.

 

D: Presidente Capobianco, come pensate di ‘approdare’ sul mercato cinese?

R: Conflavoro darà supporto alle imprese per raggiungere la Cina in maniera sicura: grazie all’accordo siglato con l’Istituto nazionale dei revisori legali, che si occupa di internazionalizzazione, metteremo a servizio della nostra rete di imprenditori i professionisti più adatti, sia per intercettare tutto ciò che la finanza pubblica può erogare alle imprese, sia per garantire la riscossione dei crediti vantati dalle aziende italiane verso l’estero. Attraverso un’apposita polizza assicurativa, sarà garantita la riscossione del credito dalle imprese estere, disponendo anche del rating dell’azienda cliente estera e conoscendone perciò l’affidabilità.

 

Perché avete pensato alla Cina?

Perché ha un numero importante di abitanti, che può generare una grandissima domanda, per cui è più facile poter posizionare i propri prodotti. Oltretutto, le previsioni attuali parlano di 0,1% di aumento del Pil: per questo dobbiamo implementare le vendite estere e premiare le nostre imprese, che devono reinvestire in occupazione, creando economia.

 

Quali sono i problemi che ostacolano la crescita del made in Italy?

Il costo del lavoro troppo alto, la burocrazia eccessiva, che assomma le prescrizioni italiane a quelle dell’Unione europea, la mancanza di formazione della cultura d`impresa. Siamo convinti che non si debba parlare di delocalizzare, perché le nostre aziende devono continuare a produrre in Italia, ma gli imprenditori devono essere aiutati.

 

Come?

Ci auguriamo che questo governo e le Regioni facciano di più, riducendo il costo del lavoro, abbattendo la burocrazia e tutelando all’estero le nostre imprese. I nostri ambasciatori all’estero sono troppo pochi rispetto a quelli degli altri Paesi e in ogni caso dovrebbero tutelare di più i nostri marchi.

Gli imprenditori, invece, cosa dovrebbero fare?

Dovrebbero cambiare la cultura individualista, dovrebbero fare squadra ed entrare insieme in determinati mercati. Bisogna essere chiari: il mercato globale non è una passeggiata, ci sono tante opportunità, ma anche difficoltà. Ecco perché bisogna essere uniti, riconoscersi in un unico brand, che è il made in Italy, e non quello della singola azienda. In altre parole, non possiamo pensare che l`olio pugliese si promuova all’estero da solo, ma dovrà farlo insieme a quello toscano, per esempio.

 

Un altro grosso problema è l’italian sounding, ovvero la realizzazione di un prodotto più o meno velatamente identificato come originario dell`Italia o di una sua regione, pur essendo stato ottenuto in altri Paesi. Come si combatte?

Stiamo lavorando a un disegno di legge per garantire la legge sul made in Italy, ma da sola non basta: occorrono azioni di controllo, contrasto e promozione del prodotto italiano, oltre a controllare ciò che arriva dall’estero e che viene spacciato come italiano. Occorre promuovere la cultura dei nostri prodotti sia nel food, che nel manifacturing e nell’artigianato.

 

(Fonte: Nuovo quotidiano di Puglia – Lecce. Intervista di Serena Costa)

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