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Telepass, Cassazione: azienda non può controllare i dati del lavoratore

Con l’ordinanza n. 15391 del 3 giugno 2024, i dati telepass non possono essere utilizzati dal datore di lavoro per provvedimenti disciplinari e sanzioni

Il tema del controllo a distanza dei lavoratori è da sempre al centro dell’attenzione per le modalità e gli strumenti utilizzati. Novità proprio degli ultimi giorni è quella relativa ai dati estrapolati attraverso l’indagine dei percorsi e dei pedaggi sostenuti dal dipendente attraverso l’utilizzo del telepass presente sul mezzo utilizzato.

L’ordinanza della Cassazione sul telepass

Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15391 del 3 giugno 2024, stabilendo con chiarezza che i dati ricollegabili al telepass non possono essere utilizzati dal datore di lavoro per applicare provvedimenti disciplinari ed irrogare sanzioni.

Il caso sotto la lente d’ingrandimento

Tale previsione deriva dal caso di un datore di lavoro che ha contestato quanto dichiarato da un proprio tecnico trasfertista circa le tempistiche impiegate in alcune lavorazioni. Ciò è stato possibile da un incrocio di dati presenti sul palmare del tecnico e relativi agli interventi di riparazione e i dati del telepass installato sulla vettura aziendale, principalmente luoghi, pedaggi e orari.

Attraverso le informazioni raccolte, l’azienda ha poi proceduto al licenziamento del tecnico, impugnato successivamente.

Il No già dalla Corte d’Appello

L’ordinanza si inserisce proprio a seguito della sentenza della Corte d’Appello con la quale i giudici territorialmente competenti avevano annullato il licenziamento e condannato l’azienda al pagamento di un risarcimento al lavoratore licenziato.

Con l’ordinanza dunque, oltre a rigettare il ricorso avanzato dalla società contro la sentenza della Corte d’Appello, si interviene nuovamente a chiarire i concetti di dignità e riservatezza dei lavoratori durante l’esecuzione delle proprie mansioni.

La Cassazione infatti evidenzia in prima battuta la legittimità dei controlli difensivi realizzati dai datori di lavoro in conformità con la Legge 300/1970, finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o se realizzati a seguito di un fondato sospetto circa il comportamento illecito di un lavoratore.

Al centro, rispetto dignità e riservatezza lavoratore

Ciò è tuttavia possibile laddove venga rispettata la dignità del lavoratore, anche nell’ottica di tutelare la sua riservatezza, in un continuo e ben preciso bilanciamento di interessi rispetto alla volontà aziendale di protezione degli interessi e della libera iniziativa economica.

In linea con tutto ciò, le conclusioni della Suprema Corte seguono quanto stabilito dall’art. 4 Legge 300/1970, e più precisamente la decisione addiviene sulla base dei seguenti elementi fondanti il giudizio:

  • Mancanza di adeguata informazione sulle modalità di controllo a distanza;
  • Mancanza del consenso del dipendente;
  • Mancanza della finalità, nello specifico quella di impedimento abusi a danno dell’azienda;
  • Irrilevanza della possibilità di disattivare lo strumento telepass da parte del lavoratore per evitare il controllo a distanza, proprio per la mancata informazione.

Alla luce di quanto analizzato, la Corte rigetta il ricorso e conferma l’illegittimità del licenziamento irrogato, asserendo l’inutilizzabilità dei dati raccolti poiché oggetto delle violazioni suindicate.

Le indicazioni di Conflavoro

Come associazione di categoria, Conflavoro ribadisce l’importanza di fornire completa ed adeguata informativa ai dipendenti che, anche accidentalmente, potrebbero essere sottoposti a forme di controllo a distanza. Ciò deve avvenire in linea con quanto stabilito dall’art. 4 c. 3 dello Statuto del Lavoratori (L. 300/1970) che per chiarezza e completezza, qui di seguito si riporta:

“Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.”

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